L'Istituto di Fisica di Giuseppe Pagano
L’edificio per l’Istituto di Fisica nella città universitaria di ‘Sapienza’ fu realizzato fra il 1932 e il 1936 su progetto dell’architetto Giuseppe Pagano ed è sede del Dipartimento di Fisica di ‘Sapienza’ da circa ottant’anni. Disegnato in stretta osservanza delle esigenze espresse dagli scienziati dell’epoca, quei ‘Ragazzi di via Panisperna’ noti per aver conseguito sensazionali scoperte, esso fu subito riconosciuto quale edificio funzionale, razionale e bellissimo. Nel secondo dopoguerra la comunità scientifica romana mutò ma seppe rientrare nel circuito mondiale della ricerca per la Fisica con la guida sapiente di Edoardo Amaldi; anche l’edificio dovette adeguarsi a quei drastici cambiamenti, al quale si aggiunsero un incremento vertiginoso di studenti e docenti e il necessario adeguamento alla normativa impiantistica e per la sicurezza. Ciononostante, l’opera conserva ancora oggi l’originaria bellezza e funzionalità e continua ad essere considerata fra le architetture più importanti del Novecento Italiano, oltre che luogo di ricerca e didattica d’eccellenza.
Nell’intento di approfondire e comprendere meglio la relazione che sussiste fra questo pregiato edificio e la ricerca sulla Fisica di scuola romana, il 14 ottobre 2016 si è tenuto un incontro tra fisici e architetti, a margine del quale è stata allestita una mostra di disegni, elaborati nell’ambito del corso di laurea quinquennale in Architettura di ‘Sapienza’, che illustrano l’architettura e raccontano la vita che accoglie da decenni.
La riflessione proposta in questa occasione ha inteso ripartire da una lettura filologica del manufatto, anch’essa in attesa di ulteriori approfondimenti, per guardare oltre e rivolgersi all’analisi dell’architettura quale spazio di ricerca e di vita per scienziati ‘speciali’. Fra l’edificio di Pagano e la sua funzione, fra la sua architettura e la ricerca per la Fisica in corso a Roma a metà degli anni Trenta, sussiste infatti una formidabile liaison, una sorta di ‘consustanzialità’ che lascia emergere un aspetto di rilievo per la comprensione e l’apprezzamento di questa e di altre architetture del Novecento. Si tratta, infatti, di edifici connotati da uno ‘statuto speciale’ che li rende monumenti e, contestualmente, luoghi che accolgono la nostra vita quotidiana. Oltre ad essere storicamente e architettonicamente importanti, edifici come l’Istituto di Fisica di Roma sono pregni di valori che travalicano l’uso e la percezione estetica e riconducono alla sfera personale e affettiva dell’individuo.
L’idea che queste architetture influiscano sulla sfera esperienziale dell’osservatore - modificandone lo stato d’animo, suscitando emozioni e coinvolgendone la sfera affettiva - trae spunto dagli studi sul collegamento fra scienze cognitive e architettura, tra filosofia ed estetica contemporanea, rivolti allo studio degli effetti che lo spazio architettonico produce negli individui. La chiave di lettura proposta è dunque diversa rispetto a quella che guida la conoscenza dei monumenti antichi, ed è volta comprenderne la specificità: la realtà materiale dell’architettura resta al centro dell’attenzione, ma se ne indagano anche le qualità sensoriali che rendono lo spazio ‘atmosferico’.
Per questo motivo registrare la testimonianza degli scienziati che si sono formati e lavorano nell’Istituto di Fisica di Roma rappresenta un passaggio indispensabile per cogliere a pieno il valore della sua architettura. La dimensione funzionalista che Giuseppe Pagano impresse al suo progetto - privo della monumentalità che connota altri edifici della città universitaria, libero da gerarchie, da criteri di assialità e di simmetria, e tanto essenziale e funzionale da essere giudicato algido da alcuni - rispondeva, infatti, alle esigenze della ricerca nella Fisica di quell’epoca. Qui gli ambienti sono pressoché tutti simili, esplicitamente disegnati per una comunità di scienziati che collaborano, non per academici isolati e gerarchicamente ordinati. Le numerose finestre allineate che svuotano i prospetti esterni rispondono alla condizione, necessaria e sufficiente, di dotare ogni postazione di ricerca con una fonte di luce naturale e, soltanto in seconda istanza, rappresentano un motivo architettonico e compositivo. Spazi, dunque, concepiti quali luoghi speciali, dedicati a scienziati impegnati nella speculazione teorica e nella sperimentazione pratica, ed utili a servirli senza distrarli.
Da un'osservazione diretta, peraltro, si misura anche l’entità del danno causato dalle numerose trasformazioni che l’edificio ha subito nel corso degli anni, modifiche responsabili di aver frammentato l’originaria chiarezza compositiva degli spazi interni e di averne offuscato il carattere razionale. Queste consistono per lo più nell’aver aggiunto tramezzi, impianti e corpi di fabbrica minori, mentre soltanto poche parti originarie sono state rimosse o demolite, fatto che, almeno idealmente, consente di considerare reversibili i cambiamenti più insopportabili. Forti di questo dato e della crescente consapevolezza del valore monumentale della città universitaria, ma soprattutto facendo leva sul senso di appartenenza che oggi suscita in coloro che lo abitano, si potranno affrontare quegli interventi che, pur se di piccola entità, si rendono quotidianamente indispensabili per aggiornarne la fruibilità dell’edificio e conservare il monumento quale luogo d’incontro, felicissimo, tra Fisici e Architetti, ovvero tra Fisica e Architettura.
Ringraziamo coloro che hanno reso possibile l’iniziativa, innanzitutto Paolo Mataloni per averla sostenuta, e Carlo Bernardini Gianni Jona-Lasinio, Francesco Guerra, Guido Martinelli e Giorgio Parisi per l’eccezionale partecipazione, e Gianni Battimelli anche per aver contribuito alle ricerche documentarie. La mostra non sarebbe stata possibile senza i disegni elaborati per i corsi di Restauro Architettonico da Giuseppe Pecci, Agnese Riccomagno, Andrea Ramaccini, Martina Renzetti, studenti del CdL Quinquennale in Architettura di ‘Sapienza’ Università di Roma.